In trattoria I buoni sapori a tavola


La cucina del tacco è essenziale, di solide radici contadine e fonda la sua filosofia nell’esaltare con artifici semplici, ma efficaci, i prodotti più poveri elevandoli a rango di specialità, se non di capolavori. Con un po’ di naso e rifuggendo dalle zone più commerciali e turistiche, non è difficile trovare trattorie e ristoranti dall’apparenza magari spartana che però assicurano in tavola piatti tipici e molto ben fatti. Per orientarsi può essere utile una mini-guida sui buoni sapori delle tavole salentine. Ecco come riuscire a scegliere a tavola il meglio del Salento.


Pasta fatta in casa: Non solo orecchiette

A dispetto di quanto si crede, la pasta fatta in casa in Puglia non si ferma alle orecchiette che nel Salento si mangiano tradizionalmente mescolate ai “minchiareddhi”, cioè ai maccheroncini cavati a mano. La pasta è essenziale, ma si caratterizza spesso per l’aggiunta di cruschello o farina d’orzo, che le conferisce un colorito scuro assieme ad una fragranza ed un sapore più marcati. D’estate orecchiette e “minchiareddhi” si mangiano con il sugo fresco dei pomodorini a fiaschetto profumati al basilico. Un vero salentino non sa fare a meno del “cacioricotta”, un formaggio fresco di latte di pecora, capra o misto, una via di mezzo fra una ricotta e un formaggio inventato molti secoli addietro, per valorizzare insieme le minime produzioni di latte che si avevano in estate. Spesso si grattugia, copiosamente, direttamente sul piatto fumante e quando si mescola alla pasta, si scioglie  nel sugo di pomodoro in una deliziosa, vellutata amalgama. D’inverno, invece, le orecchiette si condiscono con il ragù alla salentina e una buona spolverata di pecorino o con la “ricotta forte” stemperata nel sugo. Una variante della pasta fatta in casa salentina sono le “sagne ncannulate” (ovvero delle lasagne tagliate a strisce di circa un centimetro e mezzo ritorte ad arte su se stesse). Le orecchiette, sempre in inverno, si mangiano anche con i broccoli di rape.

Fave Bianche: La polenta del Sud

E’ una vera e propria polenta di fave che è stata per secoli un piatto forte della cucina dei contadini. Nel Salento, le fave infrante (cioè, le comuni fave secche private del tegumento esterno) sono conosciute come fave bianche o fave nette, e costituiscono tuttora uno dei piatti tradizionali più amati. Vengono cotte alla stregua degli altri legumi, semplicemente in acqua leggermente salata fino a disfarsi completamente con la cottura e ad assumere la consistenza di una purea. Possono essere consumate semplicemente condite con abbondante olio di frantoio, oppure mescolate caldissime a verdure selvatiche lesse, principalmente cicorie catalogne trinciate grossolanamente. Di qui il nome del piatto: fave e cicorie  o in salentino “fae e fogghie”.

Ciceri e tria: L'archeologia nel piatto

“I ciceri e tria” alla salentina sono un raro esempio di archeologia gastronomica. Anche se il sapore dipende soprattutto dai ceci, sia per la qualità, sia per la cottura. Ad assicurare un tocco speciale è la croccante “tria” fritta a pezzettini nell’olio bollente, che viene poi sparsa sul piatto fumante. Questo piatto, come tutti quelli d’origine antica, ha molte varianti, ma nella sua versione base i “ciceri e tria” assicurano un gusto pieno e delicato, unico per la sua semplicità e digeribilità.

Muersi e Cecamariti: La minestra salentina

Anche se l’aspetto può ingannare, questa minestra salentina è di un’insospettabilile bontà. I “pisieddhri cu li muersi” o “muersi a cecamariti” sono un piatto contadino a base di piselli secchi, cotti preferibilmente al fuoco del camino. Per rendere più sostanziosa la minestra, le massaie usavano riciclare il pane raffermo, tagliandolo a tocchetti e friggendolo nell’olio fino a fargli assumere un colore oro bruciato. Il pane fritto veniva poi sistemato sul fondo del piatto  dove si versava la minestra di piselli. Così è venuto fuori questo piatto, che presentava molte varianti a seconda della stagione; si mescolava a verdure stufate, generalmente rape e cicorie in inverno, peperoni fritti in estate. Il piatto deve il singolare nome (“cecamariti”, ovvero “acceca mariti”) al fatto che pur essendo di facile preparazione, si presenta come un piatto elaborato. Dunque si potevano facilmente ingannare i mariti, raccontando di aver trascorso molto tempo davanti ai fornelli quando invece…

Parmigiana: Melanzane che passione

A dispetto del nome molto poco pugliese, la parmigiana si può definire il grande piatto unico della cucina salentina. La parmigiana tipica ha un gusto semplice e antico, tutto giocato sul sapore delle melanzane e sul sugo di pomodoro fresco che ne guarnisce ogni strato. Forse sono cento e più le versioni che si differenziano l’una dall’altra per piccoli ma salienti, alcune delle quali richiamano molto la mussaka greca. Può essere farcita con fettine di uova sode, di mozzarella o caciocavallo, salame o mortadella al pistacchio e ancora con polpettine di manzo al ragù. E’ il pasto tradizionale, insieme al galletto al ragù, che viene preparato in occasione della festa di Sant’Oronzo a Lecce.

Pezzetti di cavallo: Cottura alla pignata

E’ un piatto popolare, uno dei pochi secondi davvero salentini, un po’ più elaborati dell’arrosto. Si tratta di “pezzetti” di carne di cavallo cotti a lungo nel sugo di pomodoro, insieme ad un po’ di odori. A fine cottura la carne si presenta particolarmente tenera e saporita. Questo piatto non manca davvero mai nelle “putee”, le tipiche osterie salentine, che usano i “pezzetti” per farcire i panini da consumare in piedi, come pasto veloce, bevendoci su un buon bicchiere di vino rosso.

Turcinieddhri: Saporite frattaglie

La prova più difficile per un ristoratore salentino è proprio quella di riuscire ad arrostire perfettamente i “turcinieddhri”. Che sia ben chiaro, vanno cotti rigorosamente alla brace o in forno a legna. I “turcinieddhri” sono frattaglie d’agnello o di capretto tagliate a pezzi, avvolte nel peritoneo e confezionate a mò di matassine con le budelline degli stessi animali. Gli autentici “turcinieddhri” alla salentina una volta potevano raggiungere e superare i due chilogrammi di peso, confezionati quindi con almeno due coratelle d’agnello. Oggi, sono quasi introvabili, soppiantati da quelli piccoli, altrettanto buoni, ma soprattutto più pratici e facili da arrostire.

Ricci di mare: Rossi, dolci e profumati

 Per gustarli davvero, bisogna mangiarli appena aperti davanti al mare, su uno di quei banchetti che dominano i porticcioli di Badisco o San Foca.  I ricci marini, sono molto diffusi su tutti i bassi fondali rocciosi delle coste della provincia di Lecce, anche se una pesca indiscriminata ne sta mettendo a rischio la sopravvivenza. Se in diverse zone d’Italia, i ricci in alcuni periodi dell’anno acquisiscono un sapore amarognolo poco gradevole, qui sono dolci e saporiti tutto l’anno, anche se è in primavera che si presentano nella forma migliore, ossia con le gonadi particolarmente sviluppate e, in base al sesso, di una invitante colorazione rosso fuoco. E’ proprio quest’ultimo il requisito più ricercato ed apprezzato dai golosi estimatori, e non solo per un fattore estetico. I ricci possono essere utilizzati anche per preparare varie versioni di squisite paste asciutte tutte salentine.

Insalata di mare: Limone si, mai aceto

L’insalata di mare è piatto intramontabile nel panorama gastronomico salentino, per la sua semplicità, tutta basata sugli straordinari prodotti del mare e coniugati con l’ottimo olio d’oliva e il succo di limone di questa terra. L’aggiunta di aceto, come non pochi sconsiderati fanno, è un gratuito atto di vandalismo, alla stregua dell’inserimento del “surimi”, ovvero di quella pseudo polpa di granchio coreana a dir poco di dubbia genuinità e derivazione. Per dare il meglio di sé, l’insalata di mare non deve vedere il frigorifero: se preparata con ingredienti locali freschi, non troppo cotti e servita a temperatura ambiente, sarà un piatto per grandi occasioni.

Taieddha: Tra terra e mare

E’ una variante tutta salentina della “tiella” barese, ma nella “ taieddha salentina” non compare il riso. Lo spirito del piatto resta immutato, cozze e zucchine affettate. Fondamentale il tocco di pecorino che assicura un contrasto di sapori esaltando le cozze, nel Salento sono ricercate quelle di Sant’Isidoro, dove da vecchia data operano gli impianti di stabulazione: spesso si tratta di cozze tarantine più piccole ma molto saporite.

Cozze nere: Gratinate con Gavoi

Mangiare un buon piato di cozze gratinate non è impresa facile come potrebbe sembrare. Il segreto sta tutto negli ingredienti e nella sapienza del cuoco. Insieme con il pangrattato, infatti, si deve preparare un composto di cui è parte cruciale il Gavoi grattugiato, ovvero un formaggio pecorino piccante che si produce in Sardegna. Ricetta salentina? Si, anche questo tocco è proprio salentino poiché se è vero che il Gavoi è di produzione sarda, è altrettanto vero che da tempo immemorabile viene consumato quasi esclusivamente nel Salento.

Contorni: L'insalata da re

Ingredienti fondamentali le patate lesse della varietà Sieglinde di Galatina, patate primaticce a pasta gialla davvero speciali. A queste si aggiungono : fresche e croccanti “meloncelle” salentine, ossia dei meloni esclusivi di queste parti di cui si consumano i frutti immaturi; pomodorini a fiaschetto, “lampascioni” sott’olio, i versatilissimi bulbi selvatici che hanno questa terra come patria d’elezione; capperi di Racale sott’aceto; olive piccole nere, della varietà Cellina di Nardò; e ancora rametti di finocchio marino sott’aceto o “caruselle”. La rucola selvatica e l’origano selvatico di Castro Marina e Santa Cesarea completano quest’insalata, non resta che allagarla d’olio e gustarla.

 

Fonte: Salento istruzioni per l'uso